La ristrutturazione e l’adeguamento di piste realizzate con pavimentazioni rigide costituisce uno dei classici problemi per i gestori aeroportuali. In giro per il mondo vi sono diversi aeroporti le cui sovrastrutture, di solito realizzate negli anni ’60-’80 per usi prevalentemente militari, sono giunte ad un punto “di non ritorno”. Che si tratti di piste, di taxiways o di aprons, il tema di fondo è: come intervenire minimizzando i tempi di chiusura dell’infrastruttura e quindi le conseguenze sull’operatività dell’aeroporto?
Innazitutto va da sé affermare che, nei limiti del possibile, bisognerebbe intervenire con adeguato anticipo prima che i fenomeni di ammaloramento rendano gli interventi troppo problematici e costosi. Ma l’avvento del concetto di manutenzione programmata per le pavimentazioni è piuttosto recente con l’implementazione degli A-PMS (Airport Pavement Management Systems), approcci ancora tuttavia riservati ad un numero esiguo di aeroporti che se li possono permettere. Anche se su questo tema si potrebbe aprire un’ampia discussione sull’analisi benefici-costi.
Al di là del problema tecnico, il fattore che in genere condiziona la scelta della soluzione è il fattore tempo. Nessun operatore aeroportuale è infatti propenso a chiusure, anche se relativamente brevi. Queste infatti possono a volte essere compatibili con interventi su piazzali o su taxiways, dove brevi periodi di chiusura possono essere accettabili, ma non per le piste.
Allora la scelta che di solito sembra mettere tutti d’accordo è la realizzazione di un overlay flessibile sulla pavimentazione vecchia. Questo tipo di intervento infatti può essere realizzato senza necessariamente ricorrere ad una chiusura della pista. Ma il punto è:
Per rispondere alla prima domanda non c’è dubbio che prima di qualsiasi opzione manutentiva è necessario un rilievo molto accurato dello stato delle pavimentazioni. Sarà infatti questo e non il mero fattore tempo, a determinare la scelta più corretta per assicurare un efficace adeguamento della pavimentazione. Piste, vie di rullaggio e piazzali devono garantire: pendenze a norma ICAO, adeguata portanza per il traffico previsto e un’aderenza adatta alle condizioni climatiche prevalenti. Le indagini devono quindi essere mirate a stabilire il tipo ed il grado di ammaloramento delle piastre di calcestruzzo. A fronte degli innumerevoli casi che ci sono stati sottoposti, noi di Air Alliance abbiamo costruito un vero e proprio “protocollo di indagini” finalizzate allo scopo.
E’ noto, sia da esempi visibili (anche in Italia) come anche in letteratura, che l’overlay su pavimentazioni rigide può essere in alcuni casi un’opzione che crea maggiori problemi del non intervento. Se le condizioni iniziali infatti non sono adeguatamente investigate, ed i necessari interventi propedeutici all’overlay non eseguiti, il rischio di deformazioni e cedimenti, nonché di risalite delle fessurazioni, è elevatissimo.
Per quanto riguarda la seconda domanda: oltre ai rischi connessi ad un intervento non riuscito, o comunque non risolutivo, vi è da considerare che effettuare opere senza chiusura pista richiede un significativo lavoro di coordinamento tra tutti gli stakeholders, finalizzato a fasizzare gli interventi in modo da 1) effettuare i lavori secondo il programma previsto, 2) minimizzare i rischi di incidenti. E’ quindi indispensabile una pianificazione dettagliata delle aree di intervento, dei tempi di chiusura, e delle misure alternative necessarie a garantire la sicurezza delle operazioni. Con il coinvolgimento dei servizi di controllo del traffico e dell’aviazione civile, oltre che con il gestore aeroportuale, sarà necessario emettere NOTAMs ed effettuare tutti i lavori temporanei per raccordare le zone su cui si è già intervenuti con quelle ancora da sistemare: ciò comporta sistemare le pendenze longitudinali e trasversali nonché raccordare pavimentazioni, marking, luci e posizionare barriere per la segnalazione delle aree chiuse al traffico. In pratica quello che noi chiamiamo il “Construction Staging Plan“.
Alla luce di quanto sopra, la terza domanda:
è poi così vero che questo tipo di intervento minimizza l’impatto operativo?